Da poco, si è conclusa la fase diocesana della causa di beatificazione di don Tonino Bello, vescovo di Molfetta e Presidente Nazionale del movimento Pax Christi. Storica rimane la marcia della pace organizzata nel 1992 a Sarajevo con 500 persone durante il conflitto con cecchini appostati sui palazzi, come anche forte la sua attenzione continua per una Chiesa povera con i poveri.

Un vescovo che si è sporcato le mani con le sue scuole di formazione politica ispirate alla figura del Buon Samaritano che “non disdegna di sporcarsi le mani, non passa oltre per paura di contaminarsi; non si prende i fatti suoi; non si rifugia nei suoi affari privati; non tira diritto per raggiungere il focolare domestico, o l’amore rassicurante della sposa, o la mistica solennità della sinagoga”. Molti politici in Puglia, debitamente e anche indebitamente rivendicano la paternità autorevole di don Tonino nel loro modo di fare politica.

E’ stato un vescovo coraggioso, capace di sdoganare un Vangelo vissuto troppo spesso nel disincanto di una spiritualità molto angelica e poco umana, che contemplava più la sacrestia che la strada. Don Tonino ha vissuto il sano Vangelo quotidiano di strada, accessibile a tutti. L’inclusione sociale dei poveri e degli esclusi è stata la priorità della sua azione pastorale. E tutto questo con la forza del sorriso e della gioia anche quando la malattia stroncò la sua vita a soli 58 anni.

L’impatto del Vangelo sulla storia ha avuto nella fede di don Tonino un ponte sempre aperto. Certo la fede non si riduce alla storia. Ma possiamo evitare l’impatto tra il Vangelo e la politica o l’economia? Oppure possiamo mai negare la centralità e l’essenzialità dell’amore verso il prossimo nel messaggio cristiano?

Rileggendo la sua vita mi sembra da una parte di dare concretezza all’Evangelii Gaudium. La recente esortazione apostolica di Papa Francesco che invita ad uscire per “offrire a tutti la vita di Gesù Cristo”, preferendo “una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura”. Dall’altra parte mi sembra di dare attualità alla politica del “Padre Nostro” di don Bosco, che non significa attivismo ideologico, legato a particolari scelte politiche di partito, ma formazione che aiuta a maturare, specialmente nei giovani, una sensibilità sociale e politica.

E’ innegabile, come questo sia un tema attualissimo e delicato per i giovani e per gli educatori. E’ quanto mai necessario proporre un’educazione alla politica che aiuti i giovani ad impegnare se stessi per il bene della comunità sociale scegliendo per la propria vita gli inalienabili valori umani e cristiani. Chi è veramente preoccupato della dimensione educativa cerca di influire attraverso gli strumenti politici, perché essa sia presa in considerazione in tutti gli ambiti: dall’urbanizzazione e dal turismo fino allo sport e al sistema radiotelevisivo, realtà in cui sovente si privilegiano i criteri di mercato e di profitto.

Essere fedeli al Vangelo non significa chiudersi o sotterrare i propri talenti in attesa della fine ma significa aprirsi, camminare per strade nuove cercando il fine con la convinzione di don Tonino: “Non c’è fedeltà senza rischio”.

 

* © Francesco Preite – “Finis Terrae”, Novembre 2013

Aut. Trib. Bari n. 2131/2012 del 24.09.2012