Daniela De Crescenzo
«In tutte le grandi città del mondo e soprattutto le grandi città, hanno al loro interno, e soprattutto nelle periferie, sacche di disagio e di malessere. Ricordo lo studio di due autori francesi, Miguel Benasayag e Gérard Schmit che ne “L’epoca delle passioni tristi” evidenziavano come ragazzi delle città sfogavano il loro complesso di Edipo non più nei confronti dei genitori, ma della polizia. Il fenomeno, quindi, riguarda tutte le metropoli»: don Tonino Palmese, vicario episcopale per la Carità e la Pastorale sociale e referente regionale di «Libera, associazione e numeri contro le mafie», analizza l’ondata di violenza che sta coinvolgendo tanti, troppi giovani.
Esiste uno specifico napoletano?
«Quello che preoccupa è che nell’immaginario collettivo la violenza è sempre una sconfitta per la società tutta. Purtroppo la descrizione del fenomeno violento a Napoli si differenzia dagli altri posti per come viene essa percepita dagli stessi napoletani»
In che senso?
«Mi riferisco al caso dell’uccisione del ragazzo del rione Traiano così come alla violenza subita dal ragazzo di Pianura. In entrambi i casi le famiglie o gli amici hanno sminuito il valore della trasgressione riconducendo le responsabilità ad altri o a nessuno».
I genitori hanno un ruolo nello smarrimento dei ragazzi?
«Certo. In molti casi sono assenti o sono così insignificanti da non avere un peso educativo, e questo è uno dei fattori che crea la mancanza del limite. In molte famiglie sono assenti oramai quei no necessari per educare a crescere»
Qual’è il ruolo della società?
«Non riesce a contenere questi malesseri, potrebbe farlo con il gioco e la cultura, e allo stesso tempo con quella autorità che viene riconosciuta dai ragazzi. L’autorità ti ricorda i limiti da non oltrepassare. L’esperienza del limite come conoscenza della sofferenza propria e altrui è importante perché non si travalichi».
Come nasce la violenza gratuita?
«Il passaggio da gruppo a branco è facile. C’è anche un gioco che può diventare violento, c’è anche un’ironia che puù diventare violenta: e in questo modo nasce il branco».
Che futuro ci aspetta?
«Quanto più troveremo tempi e spazi di aggregazione tanto più la
prospettiva potrà essere pacifica e non violenta, colta e non
ignorante».
La scuola è in difficoltà?
«Si. Però è anche vero che è l’unica realtà che può essere considerata presidio di umanizzazione di questi ragazzi. Avrà tutti i limiti, ma è rimasta l’unico luogo certo, gli altri sfuggono alla necessità di un attraversamento da parte dei giovani».
Anche l’associazionismo è in crisi?
«Quando parlo di crisi dell’aggregazione mi riferisco anche a questo»
Perché?
«A livello politico, vedi i partiti, oramai la partecipazione è limitata e circoscritta e non è legata alle grandi idee e al bisogno di trasformare il mondo. Le associazioni a loro volta sono così autoreferenziali in forza dell’essere confessioni religiose o di altro genere, che limitano un eventuale approccio a fasce circoscritte.
L’associazionismo fatica ad approcciarsi in modo trasversale e “laico” verso le diverse realtà. C’è da dire, però, nell’esperienza della Chiesa napoletana in tutte le realtà periferiche della nostra città e della nostra provincia, quando questa
mostra il suo volto compassionevole e caritatevole, convince anche i cosiddetti lontani ad avvicinarsi per dare un significato alla propria esistenza. Ogni persona, e particolarmente ogni giovane, ha bisogno di appartenenza e nello stesso tempo di differenziazione».
Fonte: Intervista di
Daniela de Crescenzo “Il Mattino”, 13 ottobre 2014