Il sindaco nel quartiere Libertà. «Giovanni il terribile ha fatto due cose. La prima: è venuto a sedersi accanto a me. E devo dire che me l’aspettavo. La seconda: mi ha abbracciato. E devo dire che non me l’aspettavo affatto. Quell’abbraccio mi ha detto: “sindaco, A ME devi guardare!”»
Giovanni è un uomo di otto anni, nato e cresciuto nel quartiere Libertà di Bari, dove troppo spesso a otto anni si è già uomini, che lo si voglia oppure no. Giovanni(che non si chiama davvero Giovanni) nel quartiere lo chiamano tutti «il terribile», per motivi facili da indovinare. Ha la pelle abbronzata perché sta sempre in bicicletta, e macina chilometri intorno al Redentore, luogo che per tanti, in quel quartiere, è una specie di stella cometa. Giovanni gira, gira e gira, instancabilmente, come un ciclista al Tour de France, solo che la sua meta non è la maglia gialla. Giovanni cerca qualcuno da infastidire, da insultare. Spesso qualcuno da picchiare. Nonostante le porte di quell’oratorio, di quei campetti, di quel giardino siano per lui sempre aperte per accoglierlo, lui tratta tutti con una istintiva violenza, verbale e a volte fisica. Don Francesco, l’anima e lo spirito di quel luogo incredibile che è il Redentore, a volte lo rimprovera, a volte gli carezza la testa. E sempre, lo sorveglia, lo segue da lontano per prevenire le sue mosse o per proteggerlo, quando Giovanni va a cercare guai con quelli più grandi e più «terribili» di lui.
Qualche settimana fa, proprio al Redentore, c’era il Libera Camp, una bellissima iniziativa dell’associazione Libera, con un cineforum aperto a tutti nel piazzale dell’oratorio. «Un palcoscenico perfetto per il mio show», deve aver pensato Giovanni, che come da copione ha cominciato a sfrecciare sulle sue due ruote (e talvolta su una), esibendo un repertorio di parolacce, grida, insulti ed espliciti inviti rivolti alla piccola folla che pian piano si stava formando, perché andasse via. Via dal suo territorio.
Insieme a Don Francesco, ho provato a convincerlo a guardare il film. Un film che parlava di lotta alla mafia. Vi lascio immaginare la sua risposta. Intanto il pubblico si è accomodato e il film è cominciato. Giovanni ha continuato il suo spettacolo alternativo, attraversando la piazzetta più e più volte sulla sua bici. Ma, man mano che il film andava avanti, la sua sicurezza, la sua spavalderia si facevano più blande. Il suo sguardo, invece di cercare «vittime», si lasciava distrarre da qualche scena del film. Finché, a un certo punto è successo una specie di miracolo. Giovanni si è fermato. E si è fermato proprio lì, davanti al maxischermo. Ha lasciato la bicicletta ed è andato a sedersi sulla gradinata insieme agli altri. Facendo attenzione che lui non si accorgesse del mio sguardo, ho seguito stupefatto tutta la scena. Nel frattempo contavo i minuti.
Ebbene sì, Giovanni il Terribile è rimasto a guardare un film all’oratorio del Redentore, seduto su una gradinata, insieme a centinaia di suoi concittadini, zitto, attento e composto, per ben 27 minuti filati. Ventisette minuti senza calci né pugni né sputi né parolacce né insulti. Per 1.620 secondi consecutivi Giovanni ha guardato, nel suo quartiere, un film sulla lotta alle mafie. La storia di Giovanni e della sua famiglia non ve la racconto. Del resto è uguale a quella di tanti altri piccoli uomini, di tante altre piccole donne che vivono nel quartiere Libertà.Ma vi racconto come finisce la storia del cineforum. Dopo due settimane sono tornato al giardino Mimmo Bucci, vicino al Redentore, in occasione di un piccolo concerto organizzato per trascorrere la serata all’aperto insieme ai cittadini del Libertà. Giovanni, come sempre era lì, in sella alla sua bicicletta. Ma questa volta è venuto a salutarmi. Poi il solito repertorio. Prima mi ha chiesto di «cacciare gli gnuri», poi ha ripreso la bici e si è messo a sfrecciare per il giardino provando a dare calci a qualcosa e in un paio di circostanze anche a qualcuno. Mi stava apertamente sfidando. Aspettava un mio rimprovero.
Invece io sono andato a sedermi tra i ragazzi dell’oratorio che mi hanno sfidato a briscola – mi hanno letteralmente stracciato – ma con la coda dell’occhio sorvegliavo Giovanni. E quando per cinque minuti mi è capitato di voltargli le spalle, lui ha fatto due cose. La prima: è venuto a sedersi accanto a me. E devo dire che me l’aspettavo. La seconda: mi ha abbracciato. E devo dire che non me l’aspettavo affatto. Cingendomi le spalle è rimasto a parlare con me per diversi minuti (questa volta non li ho contati). Ebbene quell’abbraccio mi ha detto una cosa molto chiara. Quell’abbraccio mi ha detto: «sindaco, A ME devi guardare!», proprio così, nella lingua di Giovanni, che poi è la stessa lingua mia e di tanti altri cittadini di questa bellissima e complicatissima città. Quell’abbraccio mi ha detto che devo prendere un impegno, con Giovanni e con tutti i bambini e i ragazzi del quartiere Libertà. «Io A VOI devo guardare. Tutti noi, A VOI dobbiamo guardare. È il nostro dovere di cittadini, di sindaci, di padri».
Il quartiere Libertà ha tanti problemi, qualcuno lo stiamo risolvendo, su qualcun altro siamo più indietro, qualcuno non si risolverà mai se non cambiamo le nostre abitudini. Ma più conosco Giovanni e tante persone come lui e più mi convinco che non ci sarà mai nessuna ordinanza, nessun progetto, nessuna telecamera, nessuna volante che potrà fare più del nostro sguardo attento su Giovanni e sul suo futuro. Ci sono tante brave persone che vivono nel quartiere Libertà. Giovanni sarà una di queste.