DOMENICA 29 OTTOBRE
Beato Michele Rua
Primo successore di don Bosco
Fondatore del Redentore di Bari
Don Michele Rua e la fondazione dell’Opera salesiana Redentore di Bari
Francesco Casella
Le due determinanti visite di don Rua a Bari
Per avviare a soluzione le trattative in corso per aprire un’opera a Bari, lo stesso don Rua si recò in visita alla città per incontrare il canonico Beniamino Bux e visitare il luogo dove doveva sorgere l’eventuale fondazione. Di ritorno a Torino dopo il viaggio a Tunisi ed in Sicilia (31 gennaio – 7 maggio 1900), risalendo la penisola, dopo essere stato a Corigliano d’Otranto, il 22-23 aprile 1900 don Rua fu a Bari. Ecco cosa scrisse in proposito, il 25 aprile 1900, il suo segretario don Giuseppe Rinetti all’economo generale don Domenico Belmonte:
Don Rua, accompagnato dal segretario don Giovanni Battista Francesia, era stato a Bari anche nel 1892, ritornando a Torino dopo il suo viaggio in Sicilia. In questa occasione, però, «non conoscendo nessuno» si era fermato nella sala d’attesa della stazione, attendendo il cambio del treno; cf ASC B 257 Giovanni Battista Francesia: Autobiografia (1838-1924), pp. 99-100.
Domenica 29 ottobre
Programma
Ore 10 S. Messa presieduta dal direttore della casa Salesiana del Redentore Don Francesco Preite
Ore 11 Festa e giochi in cortile
Cioccolatini piemontesi
“NOI DUE FAREMO TUTTO A METÀ”*
La missione di Don Bosco con i giovani e per i giovani
«Noi due faremo tutto a metà (Don Bosco)»
si ispira all’incontro tra don Bosco e il giovane Michele Rua che diverrà il suo primo successore.
A volte Don Bosco dava a tutti una medaglietta. Giunto il turno di Michele, Don Bosco fa un gesto strano: gli porge la mano destra, fa finta di tagliarla con la sinistra, e intanto gli dice: “Prendi, Michelino, prendi”. Michele non capisce, ma Don Bosco gli spiega: “Noi due faremo tutto a metà”.
«Don Rua è stato il fedelissimo, perciò il più umile e insieme il più valoroso figlio di Don Bosco». Con queste parole dette con tono deciso, il 29 ottobre 1972 Papa Paolo VI scolpì per sempre la figura umana e spirituale di Don Rua. Il Papa delineò il nuovo Beato con parole che quasi martellarono questa sua fondamentale caratteristica: la fedeltà. «Successore di Don Bosco, cioè continuatore: figlio, discepolo, imitatore… Ha fatto dell’esempio del Santo una scuola, della sua vita una storia, della sua regola uno spirito, della sua santità un tipo, un modello; ha fatto della sorgente, una corrente, un fiume».
Era cominciata un giorno lontano con un gesto strano. Otto anni, orfano di padre, con un’ampia fascia nera fissata dalla mamma sulla giacchetta, aveva teso la mano per avere una medaglietta da Don Bosco. Ma a lui invece della medaglia Don Bosco aveva consegnato la sua mano sinistra, mentre con la destra faceva il gesto di tagliarsela a metà. E gli ripeteva: “Prendila, Michelino, prendila”. E davanti a quegli occhi sgranati che lo fissavano meravigliati, aveva detto sei parole che sarebbero state il segreto della sua vita: “Noi due faremo tutto a metà”. E in lenta progressione cominciò quel formidabile lavoro condiviso tra il maestro santo e il discepolo che faceva a metà con lui tutto e sempre.
Il 3 ottobre 1852, durante la gita che i migliori giovani dell’Oratorio facevano ogni anno ai Becchi per la festa della Madonna del Rosario, Don Bosco gli fece indossare l’abito ecclesiastico. Michele aveva 15 anni. La sera, tornando a Torino, Michele vinse la timidezza e chiese a Don Bosco: «Si ricorda dei nostri primi incontri? Io le chiesi una medaglia, e lei fece un gesto strano, come se volesse tagliarsi la mano e darmela, e mi disse: ‘Noi due faremo tutto a metà’. Che cosa voleva dire?». E lui: «Ma caro Michele, non l’hai ancora capito? Eppure è chiarissimo. Più andrai avanti negli anni, e meglio comprenderai che io volevo dirti: Nella vita noi due faremo sempre a metà. Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune». Michele rimase in silenzio, pieno di silenziosa felicità: Don Bosco, con parole semplici, l’aveva fatto suo erede universale.
Don Bosco inizia la sua opera con i giovani (cf. primo verbale del 18 dicembre 1859) e Papa Francesco ha affermato: «Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane. Questa è la strada da percorrere da parte di tutti voi!». L’obiettivo che il tema si pone nel Bicentenario è di vivere la «conversione pastorale e missionaria» che Papa Francesco ci sta chiedendo facendo sì che i giovani, assieme alla Famiglia Salesiana, siano i protagonisti della missione evangelizzatrice così come fece don Bosco: «Che bello che i giovani siano “viandanti della fede”, felici di portare Gesù in ogni strada, in ogni piazza, in ogni angolo della terra!». Per giungere a questo obiettivo è necessario riconoscere che «l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa» e che oggi «tutti siamo chiamati a questa nuova “uscita” missionaria». Conditio sine qua non è vivere l’intimità con Gesù che è «un’intimità itinerante» e la fraternità tra noi che «si configura essenzialmente come comunione missionaria».
«La missione al cuore del popolo non è una parte della mia vita, o un ornamento che mi posso togliere, non è un’appendice, o un momento tra i tanti dell’esistenza. È qualcosa che non posso sradicare dal mio essere se non voglio distruggermi. Io sono una missione su questa terra, e per questo mi trovo in questo mondo. Bisogna riconoscere sé stessi come marcati a fuoco da tale missione di illuminare, benedire, vivificare, sollevare, guarire, liberare. Lì si rivela l’infermiera nell’animo, il maestro nell’animo, il politico nell’animo, quelli che hanno deciso nel profondo di essere con gli altri e per gli altri».
*Fonte: http://www.donboscoland.it