A Torino, il 15 luglio 1883 don Bosco indirizzò questo discorso agli exallievi che erano ritornati all’Oratorio per festeggiarlo:

“Oltre l’aiuto del cielo, quello che ci facilitò e ci faciliterà di fare del bene è la stessa natura dell’opera nostra. Lo scopo al quale noi miriamo torna benvisto a tutti gli uomini, non esclusi quei medesimi, che in fatto di religione non la sentono con noi. Se vi ha qualcuno che ci osteggia, bisogna dire o che non ci conosce, oppure che non sa quello che si faccia. La civile istruzione, la morale educazione della gioventù o abbandonata, o pericolante, per sottrarla all’ozio, al mal fare, al disonore, e forse anche alla prigione, ecco a che mira l’opera nostra. Or qual uomo assennato, quale autorità potrebbe impedircela?

Ultimamente, come sapete, io fui a Parigi, e tenni discorso in varie chiese, per perorare la causa delle opere nostre, e, diciamo francamente, per ricavar quattrini, onde provvedere pane e minestra ai nostri giovani, i quali non perdono mai l’appetito. Or bene, tra gli uditori ve n’erano di quelli che vi si recavano unicamente per conoscere le idee politiche di Don Bosco; dal momento che taluni supponevano che io fossi andato a Parigi per suscitare la rivoluzione; altri per cercare aderenti ad un partito, e via dicendo; onde vi furono delle benevole persone, che temevano davvero che mi succedesse qualche brutto scherzo. Ma fin dalle prime parole cessarono tutte le illusioni, diedero giù tutti i timori, e Don Bosco fu lasciato libero di scorrere da un capo all’altro della Francia. No davvero, con l’opera nostra noi non facciamo della politica; noi rispettiamo le autorità costituite, osserviamo le leggi da osservarsi, paghiamo le imposte e tiriamo avanti, domandando solo che ci lascino fare del bene alla povera gioventù, e salvare delle anime. Se vuolsi, noi facciamo anche della politica, ma in modo affatto innocuo, anzi vantaggioso ad ogni governo.

La politica si definisce la scienza e l’arte di ben governare lo Stato. Ora l’opera dell’Oratorio in Italia, in Francia, nella Spagna, nell’America, in tutti i paesi, dove si è già stabilita, esercitandosi specialmente a sollievo della gioventù più bisognosa , tende a diminuire i discoli e i vagabondi; tende a scemare il numero dei piccoli malfattori e dei ladroncelli; tende a vuotare le prigioni; tende in una parola a formare dei buoni cittadini, che lungi dal recare fastidi alle pubbliche autorità saranno loro di appoggio, per mantenere nella società l’ordine, la tranquillità e la pace. 

Questa è la politica nostra; di questa solo ci siamo occupati sinora, di questa ci occuperemo in avvenire”.

 
Le parole del nostro Santo sono abbastanza chiare e chiariscono la solita retorica e nostalgica domanda: le istanze politiche che alimentano fraternità, giustizia sociale, solidarietà, protezione dei deboli, le istanze sociali che promuovono il bene dei giovani sono incompatibili con la proposta evangelica? 
Ad ascoltare don Bosco, credo proprio di no. Anzi, le parole e l’esperienza di don Bosco confermano che le indicazioni del Padre Nostro devono essere tradotte in impegno umano ed evangelico a favore delle persone più deboli e per la costruzione di una società più giusta e solidale, senza ridurre il Padre Nostro ad un vuoto spiritualismo, senza dividere la fede dalla vita quotidiana. In una società super veloce, nella quale i giovani sono abituati a cose pratiche e a risultati immediati e facili, risulta imprescindibile educare all’impegno sociale come percorso di vita cristiana. Senza giustizia ed impegno sociale, senza servizio a favore degli altri, non c’è vita cristiana autentica. Questa è sempre più una priorità per la nostra Comunità Educativa Pastorale impegnata nel quartiere Libertà di Bari. 
La dimensione sociale non è estranea all’esperienza della fede, anzi è proprio nell’impegno sociale che si deve rendere più profonda la dimensione trascendente. Monsignor Romero diceva che: “La dimensione politica della fede si scopre e la si scopre correttamente piuttosto attraverso un’attività concreta a servizio dei poveri che si incarna nel loro mondo, annuncia loro una buona notizia, dà una speranza, ne incoraggia i processi di liberazione, difende la loro causa e partecipa al loro destino”. Ecco perché l’educazione ha una dimensione politica in se stessa: l’azione educativa è un modo di intervenire nel mondo. 
Non possiamo formare dei bravi ragazzi e giovani che svolgono un compitino, non possiamo limitarci ad una semplice accoglienza ma bisogna formare dei cittadini impegnati nel cambiamento ed alimentare la coscienza critica dei ragazzi e giovani, capaci di trasformare il quartiere e la società verso orizzonti di fraternità e giustizia. 
Questo significa prendere le distanze dalla corruzione e dalla violenza dei clan, significa schierasi con i più deboli e con le vittime, significa sporcarsi le mani rischiando di sbagliare, chiedere scusa, ripartire…
Questo significa ascoltare ma non lasciarsi inquinare da maldicenze e falsità che rompono la comunione e l’unità della comunità. 
Cari amici, sappiate prendere le distanze da chi attenta alla comunità, abbiate il coraggio delle vostre azioni alla luce del Vangelo, diffondete la  carità nell’educare al servizio dei ragazzi e giovani. Così insieme costruiamo il noi, la comunità educativa pastorale, il Redentore. 
Questa è la nostra politica, la politica del Padre Nostro che ci invita ad avere orizzonti più grandi delle nostre povere realtà, a collaborare con chi è interessato alla promozione educativa della gioventù. 
Don Bosco che festeggeremo in questo mese con diverse iniziative, ci doni la pazienza ed il coraggio di credere nella politica del Padre Nostro. Buona festa! 
 
 
 

don Francesco Preite
Direttore