Miei cari fratelli e sorelle,
desidero iniziare questa lettera, che ha come scopo di essere un commento o lo sviluppo del tema della Strenna, salutando molto affettuosamente tutti i miei fratelli salesiani, le mie sorelle salesiane, alle quali per tradizione viene consegnata in primo luogo, nella persona della Madre Generale, la Strenna di ogni anno. Essa diviene poi una proposta di comunione per tutta la nostra Famiglia Salesiana nel mondo.
Accompagno la consegna della Strenna con un vivo e sincero Augurio in questo Natale e nell’inizio di un Anno Nuovo, entrambi momenti di festa come Dono e Grazia del Signore. Un Augurio che, come desiderio del cuore, vorrebbe essere una reale opportunità di salutarci personalmente. Non essendo questo fisicamente possibile, spero che almeno l’espressione di questo sentimento possa arrivare a tutti, mentre vi trasmetto questo semplice commento e sviluppo del tema centrale della Strenna per questo anno 2015.
Qualifico come ‘bella eredità spirituale’ la nostra tradizione familiare della Strenna, perché si tratta di qualcosa che è sempre stata molto a cuore a Don Bosco. I primi messaggi che – a mo’ di Strenna – sono raccolti nella nostra tradizione, risalgono alla decade del 1850. Nelle Memorie Biografiche leggiamo che una strategia usata da Don Bosco era quella di scrivere, ogni tanto, un bigliettino, facendolo arrivare a colui cui voleva dare un consiglio. Alcuni di questi bigliettini sono stati conservati e sono messaggi molto personali, che invitano ad una buona azione o a porre rimedio a qualcosa che non va bene. Ma oltre a questo, fin dai primi anni dell’Oratorio, Don Bosco aveva cominciato a consegnare, verso la fine dell’anno, una Strenna a tutti i suoi giovani in generale e un’altra a ciascuno in particolare. La prima, quella generale, consisteva solitamente nell’indicare alcuni modi di procedere e degli aspetti da tenere presenti per il buon andamento dell’anno che stava per cominciare. Quasi ogni anno Don Bosco continuò a dare tali Strenne.
– l’ultima di Don Bosco per i suoi figli – è data in una situazione molto speciale. La troviamo scritta anche nelle Memorie Biografiche. Don Bosco, sentendo che stava arrivando il momento finale, fece chiamare Don Rua e Mons. Cagliero, e con le poche forze che gli rimanevano, diede alcune ultime raccomandazioni per loro e per tutti i Salesiani. Benedisse le case di America e i molti confratelli che risiedevano in quelle terre, benedisse tutti i Cooperatori italiani e le loro famiglie e, infine, chiese loro che gli promettessero di amarsi come fratelli… e che raccomandassero la comunione frequente e la devozione a Maria Santissima Ausiliatrice.
Raccogliendo queste parole di Don Bosco, Don Rua nella sua terza circolare descrive quel momento e quelle parole, e aggiunge che «questo potrebbe servire come Strenna del nuovo anno da inviare a tutte le case salesiane. Desiderava che fosse per tutta la vita e dette la sua approvazione perché servisse realmente come Strenna per il nuovo anno».
La nostra Famiglia Salesiana si distingue e caratterizza per il fatto di essere, in primo luogo, una famiglia carismatica, in cui il Primato di Dio-Comunione costituisce il cuore della mistica salesiana. È così perché questo ci rimanda all’origine di quel “carisma” dello Spirito che ci è stato trasmesso da Don Bosco per “essere da noi vissuto, approfondito e costantemente sviluppato in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita”.
In questa comunione riconosciamo la diversità e, allo stesso tempo, l’unità che ha la sua sorgente nella consacrazione battesimale, nel condividere lo spirito di Don Bosco e nella partecipazione alla missione salesiana al servizio dei giovani, specialmente dei più poveri.
Per questo in ogni Strenna sottolineiamo questo aspetto dellacomunione, che è prioritario nella nostra Famiglia. Nella misura in cui una Strenna possa aiutare le programmazioni pastorali dei diversi rami e gruppi, è benvenuta, ma la sua finalità primaria non è questa, non è quella di arrivare ad essere un programma di pastorale per l’anno, ma piuttosto di essere un messaggio creatore di unità e di comunione per tutta la nostra Famiglia Salesiana, in un obiettivo comune. Poi si vedrà in ciascun “ramo” di questo albero di famiglia come concretizzarlo nella vita, come renderlo operativo.
Da qui la mia proposta di Strenna, cari fratelli e sorelle della nostra Famiglia Salesiana, per questo anno 2015 che il Signore ci dona:
COME DON BOSCO, CON I GIOVANI, PER I GIOVANI!
Dire COME DON BOSCO, oggi, è prima di tutto reincontrare e riscoprire in tutta la sua pienezza lo spirito di Don Bosco che, oggi come ieri, deve avere tutta la sua forza carismatica e tutta la sua attualità.
Di tutto quello che si potrebbe esplicitare su questa realtà carismatica, mi permetto di sottolineare due aspetti in questo momento:
▪ La Carità Pastorale (o il cuore del “Buon Pastore) come elemento che mobilita l’essere e il fare di Don Bosco.
▪ La sua capacità di leggere “l’Oggi” per preparare “il Domani”.
Il cuore del Signore Gesù, Buon Pastore, contrassegna tutto il nostro agire pastorale e costituisce un riferimento essenziale per noi. Allo stesso tempo, ne troviamo la concretizzazione, ‘alla maniera salesiana’, in Don Bosco (plasmato nel singolare spirito di Valdocco, o in quello proprio di Mornese, o in ciò che hanno di più tipico tutti i gruppi della Famiglia Salesiana). Pertanto, nella nostra Famiglia il punto di confluenza primo e per tutti è il carisma di Don Bosco suscitato dallo Spirito Santo, per il bene della Chiesa. È questo che chiamiamo carisma salesiano, che ci abbraccia e ci accoglie tutti e tutte.
In Don Bosco “la felice espressione (che fu il suo programma di vita) «Basta che siate giovani perché io vi ami assai» è la parola e, prima ancora, l’opzione educativa fondamentale” per eccellenza. Sappiamo bene che per i suoi ragazzi e i suoi giovani Don Bosco “svolse un’impressionante attività con le parole, gli scritti, le associazioni o compagnie, le fondazioni, le opere educative, i viaggi, gli incontri con personalità civili e religiose, con il Papa stesso; per essi, soprattutto, manifestò un’attenzione premurosa, rivolta alle loro persone, perché nel suo amore di padre i giovani potessero cogliere il segno di un amore più alto”.
Questa predilezione per i giovani, per ciascun giovane, era quella che lo portava a fare tutto ciò che fosse possibile, a rompere ‘ogni stampo’, ogni stereotipo, in modo da arrivare ad essi. Come attesta Don Francesco Dalmazzo al “processo di santità” di Don Bosco, sotto giuramento. nel 1892: «Io vidi un giorno Don Bosco lasciare don Rua e me, che lo accompagnavamo, per aiutare un giovane muratore a trascinare un carretto sovraccarico, a cui si sentiva impotente e lo dimostrava piangendo, e questo in una delle principali vie della città».
Questa predilezione per i giovani portava Don Bosco a porre tutto il suo essere nella ricerca del loro bene, della loro crescita, sviluppo e benessere umano, e della loro salvezza eterna. Era questo l’orizzonte di vita del nostro padre: essere tutto per loro, fino all’ultimo respiro! Lo esprime molto bene una delle nostre sorelle studiosa di Don Bosco quando scrive: “L’amore di Don Bosco per questi giovani era fatto di gesti concreti e opportuni. Egli si interessava di tutta la loro vita, riconoscendone i bisogni più urgenti e intuendo quelli più nascosti. Affermare che il suo cuore era donato interamente ai giovani, significa dire che tutta la sua persona, intelligenza, cuore, volontà, forza fisica, tutto il suo essere era orientato a fare loro del bene, a promuoverne la crescita integrale, a desiderarne la salvezza eterna. Essere uomo di cuore, per Don Bosco, significava quindi essere tutto consacrato al bene dei suoi giovani e donare loro tutte le proprie energie, fin l’ultimo respiro”.
Questo medesimo ardore lo portò, con criteri simili, a cercare una soluzione ai problemi delle giovani, con la vicinanza e la cooperazione della Cofondatrice Maria Domenica Mazzarello e il gruppo delle giovani donne unite a lei e dedite, in ambito parrocchiale, alla formazione cristiana delle ragazze.
Il suo cuore pastorale lo spinse, in ugual modo, a contare su altri collaboratori, uomini e donne, “‘consacrati’ con voti stabili, ‘cooperatori’ associati nel condividere gli ideali pedagogici e apostolici”. A questo si somma la sua azione di grande promotore di una speciale devozione a Maria Ausiliatrice dei Cristiani e Madre della Chiesa, e la sua cura ed affetto permanente per i suoi exallievi.
E al centro di tutta questa azione e della sua visione c’è stato, come vero motore della sua forza personale “il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico”, la carità pastorale. Questa carità pastorale per Don Bosco, precisamente per sentirsi coinvolto nella Trama di Dio, significava che Dio aveva il primato nella sua vita, era Lui la ragione del suo vivere, del suo agire, del suo ministero presbiterale, fino al punto di abbandonarsi in Lui fino alla temerità. E questo sentirsi coinvolto nella Trama di Dio significava, per ciò stesso, amare il giovane, ogni giovane, qualunque fosse il suo stato o la sua situazione, per portarlo alla pienezza di quel essere umano, che si è manifestato nel Signore Gesù, e che si concretizzava nella possibilità di vivere come onesto cittadino e come buon figlio di Dio.
E questa deve essere la chiave del nostro essere, vivere e attuare il carisma salesiano. Se arriviamo a sentire nelle nostre proprie viscere, nel più profondo di ciascuno e ciascuna di noi questo fuoco, questa passione educativa che portava Don Bosco a incontrarsi col giovane a tu per tu, credendo in lui, con la fiducia che in ciascuno c’è sempre un seme di bontà e del Regno, per aiutarlo a dare il meglio di stesso e avvicinarlo all’incontro del Signore Gesù, allora staremo realizzando, senza dubbio, il più bello di questo nostro carisma salesiano.
Io credo, e tanti di noi crediamo, che Don Bosco aveva una capacità speciale per sapere leggere i segni dei tempi. Seppe fare propri tanti valori che il suo tempo gli offriva nel campo della spiritualità, della vita sociale, dell’educazione… e fu capace di dare a tutto questo una impronta tanto personale che lo ha distinto e differenziato da altri grandi del suo tempo.
Tutto ciò gli permetteva di leggere l’oggi come se vivesse già nel domani! L’oggi di Don Bosco, veniva guardato da lui con gli occhi dello ‘storico di Dio’, gli occhi di colui che sa guardare alla storia per riconoscere in essa i segni della Presenza di Dio. Storia presente, non passata! Guardata con quella lucidità che, ai più, è possibile avere solo rileggendo gli eventi in Dio, e dare così risposte ai bisogni dei suoi giovani.
Per questa sua maniera di vivere e di fare, anche noi oggi siamo chiamati a chiedere a Don Bosco di insegnarci a leggere i segni dei tempi, per aiutare i giovani.
Questa stessa convinzione esprime il Capitolo Generale Speciale quando dice che “Don Bosco ebbe in grado elevato la sensibilità alle esigenze dei tempi.. I suoi primi collaboratori vennero formati a questo spirito… E la società moderna coi suoi cambiamenti rapidi e profondi esige un nuovo tipo di persona, capace di superare l’ansia provocata da tali cambiamenti e di continuare a cercare, senza adagiarsi in soluzioni fatte… capace di distinguere il permanente dal mutevole, senza estremismi”, e in questo desiderio di attualizzare il carisma, il cammino che ci rimane è, giustamente, quello di cercare per noi quel suo cuore pastorale, unito con tale capacità di mobilità, di adattamento, di lettura credente del ‘qui e ora’.
Diciamo CON I GIOVANI!, fratelli e sorelle della nostra Famiglia Salesiana, perché il punto di partenza del nostro far carne e sangue (INCARNARE) il carisma salesiano è di STARE CON I GIOVANI, stare con loro e tra di loro, incontrarli nella loro vita quotidiana, conoscere il loro mondo, amare il loro mondo, animarli nell’essere protagonisti della propria vita, risvegliare il loro senso di Dio, animarli a vivere con mete alte.
Il mondo dei giovani è un mondo di possibilità. Per poter essere fermento in questo mondo, dobbiamo conoscere e valutare positivamente e criticamente ciò che i giovani valorizzano e amano. La sfida della nostra missione in mezzo ai giovani passa attraverso la nostra capacità profetica di leggere i segni dei tempi, come precedentemente dicevamo di Don Bosco; cioè, che cosa ci sta dicendo e chiedendo Dio attraverso questi giovani con i quali ci incontriamo.
Questa sfida comincia con avere la capacità di ascoltare, e con avere il coraggio e l’audacia di intavolare un dialogo “orizzontale”, senza posizioni statiche, senza aggiudicarci previamente il possesso della verità. Adottiamo l’atteggiamento dell’«apprendista» ed apprenderemo molto di loro e della immagine di Chiesa che noi incarniamo per loro. I giovani, con la loro parola, la loro presenza o la loro ‘indifferenza’, con le loro risposte e le loro assenze, stanno reclamando qualcosa da noi. E anche lo Spirito in essi, e attraverso di essi, ci sta parlando. Dall’incontro con loro mai si esce indenni, bensì reciprocamente arricchiti e stimolati.
E diciamo CON I GIOVANI! perché ciò che riempie il nostro cuore dal momento della chiamata vocazionale di Gesù a ciascuno di noi, è la predilezione pastorale per i fanciulli e le fanciulle, i ragazzi, i giovani e le giovani; predilezione che si manifesterà in noi, come in Don Bosco, in una vera ‘passione’, cercando il loro bene, ponendo in questo tutte le nostre energie, tutto il fiato e la forza che abbiamo.
Le nostre comunità, qualunque sia il gruppo della nostra Famiglia (siano comunità di vita religiosa, comunità di preghiera e impegno, comunità di testimonianza…) devono cercare di acquisire “visibilità” tra i giovani del proprio ambiente. Questa visibilità esige discernimento, opzioni e rinunce. Significa anzitutto gratuità nel servizio, relazioni fraterne gioiose e dettagliate, in un progetto comunitario di preghiera, incontri e servizio. Si richiede, più che mai, una “casa aperta”, con pluralità di iniziative di convocazione e con proposte rispondenti ai problemi dei giovani del territorio. Chissà che i giovani si rendano conto del valore che ha il poter disporre di un “focolare salesiano”, poter contare su un gruppo di persone amiche. La significatività esigerà che le nostre comunità vivano in una salutare tensione, che si trasforma in ricerca, discernimento e presa di decisioni, che hanno da essere continuamente verificate, inserite nella preghiera e convalidate nella convivenza fraterna e nella prassi pastorale.
In diverse occasioni ho commentato che quando il Papa Francesco parla di andare alla periferia, dirigendosi a tutta la Chiesa, interpella noi in modo molto vivo e immediato perché ci sta chiedendo che stiamo nella periferia, con i giovani che stanno nella periferia, lontani da quasi tutto, esclusi, quasi senza opportunità.
Allo stesso tempo dico che questa periferia per noi è qualcosa che ci è proprio come Famiglia Salesiana, perché la periferia è qualcosa di costitutivo del nostro DNA salesiano. Che cosa fu il Valdocco di Don Bosco se non la periferia della grande città? E che cosa fu Mornese se non una periferia rurale? Sarà necessario che nel nostro esame di coscienza personale e di Famiglia ci confrontiamo con questa forte chiamata ecclesiale, che è a sua volta dell’essenza del Vangelo. Sarà necessario esaminarci circa il nostro stare con i giovani e per essi, specialmente per i più poveri, bisognosi ed esclusi…, ma non sarà necessario che cerchiamo il nostro nord, la nostra ‘stella polare di navigazione’ perché negli ultimi, nei più poveri, in coloro che hanno più bisogno di noi sta ciò che è più proprio della nostra identità carismatica, ed è con questa identità carismatica che dobbiamo confrontarci per trovare il nostro posto, il nostro modo di rispondere oggi alla missione, nel ‘qui e ora’.
Ogni volta si fa sempre più evidente che il nostro servizio ai giovani passa anche, e in grande misura, attraverso modelli di riferimento credenti e adulti. I giovani cercano e desiderano incontrarsi con cristiani valorosi ma “normali”, che possano non solo ammirare, ma anche imitare. I nostri giovani, così come in altre dimensioni della loro persona “in costruzione”, hanno bisogno di specchiarsi in altri, desiderano riconoscersi in se stessi e imparare a vivere la propria fede, ma per contagio (per testimonianza di vita) piuttosto che per indottrinamento.
È per questo che la nostra azione pastorale non potrà essere un compito uniforme e lineare, dato che le situazioni degli adolescenti e dei giovani sono tanto differenziate. Questo implicherà, soprattutto in noi educatrici ed educatori, degli atteggiamenti profondi, come l’essere disposti a ‘perdere la propria vita’ per darla per il Regno, accettare la povertà, l’austerità, la sobrietà come scelta di libertà pastorale personale e comunitaria, mettendo sempre al primo posto le persone, l’incontro con esse e il servizio alle medesime.
Lavorare con i giovani e per i giovani è stato ed è non solo un privilegio per stare in contatto con persone vitali, piene di potenzialità, di sogni e freschezza… ma soprattutto è una opportunità che ci è offerta di camminare insieme con loro per tornare a Gesù, per recuperare la sua vita e il suo messaggio, senza filtrare la sua radicalità, senza eludere il sempre scomodo confronto con le nostre scale di valori e stili di vita. Siamo convinti che il Vangelo, tanto oggi come ieri, ha tutte le possibilità di essere ascoltato, udito e accettato di nuovo nel mondo dei giovani come una Buona Notizia.
In questo essere ascoltato e accettato il Vangelo, si presenta a noi la sfida di coltivare con impegno l’incontro personale, l’accompagnamento spirituale personale, in cui ogni salesiano educatore, salesiana educatrice possa proporre cammini, suggerire scelte. Sull’esempio di Don Bosco, abbiamo una grande necessità di educatrici ed educatori aperti alla novità, agili a innovare, provare, rischiare ed essere personalmente testimoni genuini nella vita dei giovani. Ci è richiesto l’avvicinamento personale nell’incontro spontaneo, l’interesse per “le loro cose” senza pretendere di invadere la loro intimità. Un accompagnamento preferibilmente centrato su una considerazione positiva e affettuosa dell’altro, e che deve materializzarsi nei compiti di “faciltare” , “valorizzare” e “orientare”. Quando parliamo di intraprendere degli “itinerari di educazione alla fede”, questo non consiste tanto nel portare qualcosa dall’esteriore all’interiore dei giovani, ma nell’aiutarli a mettere in luce la loro intimità più radicale abitata da Dio, a sviluppare le potenzialità e capacità che portano dentro loro stessi. Si tratta di accompagnare le loro vite, di aiutarli a scoprire la loro identità più intima e il loro progetto di vita.
È stato il Rettor Maggiore don Juan E. Vecchi che ha scritto che «i giovani sono un dono per noi». E certamente non possiamo pensare che don Vecchi stesse difendendo la povertà, ma è certo che se stiamo con loro e in mezzo a loro, sono essi, sono esse, i primi che ci fanno del bene, che ci evangelizzano, che ci aiutano a vivere veramente il Vangelo in ciò che è più tipico del carisma salesiano. Mi azzardo a dire che sono i giovani, le giovani, specialmente quelli che sono più poveri e bisognosi, che ci salveranno, aiutandoci a uscire dalla nostra routine, dalle nostre inerzie e dalle nostre paure, a volte più preoccupati di conservare le proprie sicurezze che tenere il cuore, l’udito e la mente aperti a ciò che lo Spirito ci può chiedere.
Per loro e davanti a loro non possiamo eludere le urgenze che dalla stessa realtà giovanile ci stanno bussando alla porta. Collaboriamo con le nostre opere e servizi molteplici a promuovere l’accoglienza dei giovani, ascoltare i gridi dell’anima: giovani soli, colpiti dalla violenza, con conflitti familiari, con ferite emotive, confusi, con sofferenza e dolore. La Buona Notizia ci spinge ad ascoltare ed accogliere incondizionatamente le loro necessità, desideri, timori e sogni. Urge altresì recuperare la loro capacità di ricerca, di indignazione davanti alle opportunità che sono loro chiuse per essere vuote promesse; urge stimolare i loro sogni per promuovere l’azione, la collaborazione, la ricerca di società migliori. Accettare “l’abbraccio di Dio” come un dono, apprendere a piangere con Lui, a ridere con Lui.
Stiamo celebrando il Bicentenario della nascita di Don Bosco. Com’è naturale, c’è stato un primo Centenario, di cui desidero offrire una piccola rassegna storica.
Cominciamo col dire che nel 1915 si compivano non uno, ma due Centenari, entrambi molto “salesiani”: la nascita di Don Bosco e la definizione della data del 24 maggio come celebrazione in onore di Maria Ausiliatrice. Questa fu deliberata con decreto del Papa Pio VII, per rendere grazie alla Madre di Dio per la sua liberazione dalla cattività, stabilendo appunto la festa di Maria Ausiliatrice il 24 maggio, data del suo rientro a Roma.
L’idea di celebrare solennemente il primo Centenario della nascita di Don Bosco cominciò con molto anticipo. Don Paolo Albera desiderava attribuire alla celebrazione un duplice carattere: che servisse per estendere la devozione a Maria Ausiliatrice ed anche per la conoscenza della figura e dell’opera di Don Bosco, allo scopo anche di accelerare la Causa di Beatificazione.
Nel 1914 l’organizzazione delle celebrazioni per il primo centenario della nascita di Don Bosco era già molto avanti. La stampa aveva fatto conoscere al grande pubblico gli atti principali che avrebbero avuto luogo in tale occasione, le autorità che sarebbero intervenute; si era pure fatta una selezione dei piani di costruzione del monumento e della nuova chiesa; la Santa Sede aveva approvato il cambiamento di data del Capitolo Generale e la rinuncia dei membri del Capitolo Superiore a un anno dai loro rispettivi incarichi; il cardinale Gasparri, in qualità di Cardinale Protettore della Congregazione Salesiana, aveva scritto una lettera, a nome del Papa.
Però le circostanze che sopravvennero furono molto avverse. Nel 1914 e 1915 accadde una serie di tragici avvenimenti: un forte terremoto che colpì una parte della Sicilia, con gravi danni materiali anche se, fortunatamente, senza perdite di vite di SDB e FMA; un incendio che distrusse completamente la casa cilena di Valdivia; la morte di Pio X, molto vicino ai Salesiani. Un nuovo terremoto, agli inizi del 1915, devastò la regione degli Abruzzi, provocando la morte di tre Figlie di Maria Ausiliatrice; due salesiani furono nascosti dentro i detriti.
E arrivò la vicenda più tragica, dolorosa e prolungata: lo scoppio della Prima Guerra Mondiale che divise il mondo in due grandi parti belligeranti, lasciando milioni di morti nel suo corso. L’Italia, da principio neutrale, entrò in guerra il 2 maggio 1915, proprio alla vigilia degli atti celebrativi del centenario della festa di Maria Ausiliatrice.
Il conflitto bellico colpì gravemente le opere salesiane in molti paesi. Circa 2000 giovani salesiani furono chiamati alle armi, nell’una o nell’altra delle parti belligeranti. La guerra impedì o rese molto difficile il contatto e la comunicazione con le case salesiane delle FMA e degli SDB. Diminuì anche in grande misura l’aiuto dei Cooperatori. Don Albera fece continui richiami alla preghiera, insistendo soprattutto sulla commemorazione del 24 di ogni mese, dedicato a Maria Ausiliatrice. Era evidente che in questa situazione i brillanti programmi del Centenario tendevano ad essere soppressi o ridotti o lasciati in attesa circostanze migliori. Si decise di sospendere gli atti festivi, ridurre i programmi e dare ad essi un carattere più religioso e intimo; pur sempre con la speranza che arrivasse presto la pace e si potessero vincere gli ostacoli. Ma la pace tardò ad arrivare più di quanto sperato e molti degli atti previsti non si poterono mai più celebrare.
Pur tuttavia, e nonostante che il giorno precedente alla festa, il 23 maggio, l’Italia avesse dichiarato guerra all’Austria, come già accennato, entrando nel gruppo degli alleati, il 24 maggio si celebrò nel Santuario pieno un solenne pontificale, presieduto dal Cardinale Arcivescovo di Torino.
Ci furono pure festeggiamenti in Valsalice e a Castelnuovo. Per chiudere il Centenario, il Rettor Maggiore invitò tutti gli amici di Don Bosco a un duplice pellegrinaggio: il primo, il giorno 15 agosto, per visitare la tomba di Don Bosco e il secondo, il giorno 16, per visitare il luogo delle origini ai Becchi, dove Don Bosco era nato, e a Castelnuovo, dove era stato battezzato. A Valsalice la presenza fu così numerosa che si dovette erigere un altare nel portico che si trova davanti alla tomba. Migliaia di persone si accalcarono, occupando gli spazi del cortile e le sue adiacenze. Canti, preghiere e offerte precedettero la benedizione eucaristica, impartita da Don Albera dalla terrazza situata davanti alla tomba di Don Bosco. A tutti i presenti si regalò un elegante ricordo con l’immagine di Don Bosco e alcune delle sue massime.
La seconda giornata, il 16 di agosto, convogliò attorno alla casetta di Don Bosco ai Becchi numerosi gruppi di giovani e adulti, ecclesiastici e laici, che venivano da Torino e dalle popolazioni dei dintorni. Erano ad aspettarli Don Albera e tutto il Capitolo Superiore. Don Albera celebrò la Santa Messa e poi si procedette alla posa della prima pietra della nuova chiesa, che si voleva costruire lì in onore di Maria Ausiliatrice, come ricordo del doppio Centenario. A Castelnuovo si scoprì una lapide commemorativa e, dopo un pasto popolare, ci fu l’atto di omaggio ufficiale della gente. Don Albera fu dichiarato “cittadino onorario”.
In America si poterono celebrare entrambi i Centenari, quello della festa di Maria Ausiliatrice e quello della nascita di Don Bosco. In tutte la nazioni americane dove era impiantata l’opera salesiana si celebrarono atti massivi in onore di Don Bosco e di Maria Ausiliatrice. In vari luoghi si diede il nome di Don Bosco alle strade e si eressero centri e chiese a perpetua memoria dell’avvenimento. L’Argentina e il Brasile furono le nazioni che maggiormente si distinsero in questa circostanza.
Fin qui la storia della celebrazione del primo Centenario. Ora, sono molti gli atti, in gran parte molto semplici, che si stanno svolgendo in tutto il mondo per il Bicentenario. Io voglio sottolineare, come già feci il 16 agosto ai Becchi all’inizio del Bicentenario, il senso del medesimo.
Oggi noi – dicevo appunto in quell’occasione – mentre celebriamo il Bicentenario di questo fatto storico, rendiamo immense grazie a Dio per ciò che ha fatto con il suo intervento nella Storia, in questa storia concreta, qui, sulla collina dei Becchi. Varie volte dico, in questo scritto, in un modo o nell’altro, che il carisma salesiano è il regalo che Dio, attraverso Don Bosco, ha fatto alla Chiesa e al Mondo. Si è formato nel tempo, dalle ginocchia di Mamma Margherita fino all’amicizia con buoni maestri di vita e soprattutto nella vita quotidiana con i giovani.
Il Bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco è un anno giubilare, un “anno di Grazia”, che vogliamo vivere nella Famiglia Salesiana con un profondo senso di gratitudine al Signore, con umiltà ma con gioia, poiché il Signore stesso è Colui che ha benedetto questo incantevole movimento apostolico, fondato da Don Bosco sotto la guida di Maria Ausiliatrice. È un anno giubilare per i trenta gruppi che già formano questa grande Famiglia e per molti altri che, ispirandosi in Don Bosco, nel suo carisma, nella sua missione e spiritualità, sperano di essere riconosciuti in tale Famiglia.
È un anno giubilare per tutto il Movimento Salesiano che, in uno o altro modo, fa riferimento a Don Bosco nelle sue iniziative, attività, proposte, e cammina condividendo spiritualità e sforzi per il bene dei giovani, specialmente dei più bisognosi.
Questo Bicentenario vuole essere, per tutti e in tutto il mondo salesiano, un’occasione preziosa che ci è offerta per guardare al passato con riconoscenza, il presente con fiducia, e sognare il futuro della missione evangelizzatrice della nostra Famiglia Salesiana con forza e novità evangelica, con coraggio e sguardo profetico, lasciandosi guidare dallo Spirito che sempre ci avvicinerà alla novità di Dio. Il Bicentenario sta già essendo una opportunità per un vero rinnovamento spirituale e pastorale nella nostra Famiglia, un’occasione per rendere più vivo il carisma, e rendere tanto attuale Don Bosco come sempre lo è stato per i giovani, nel nostro cammino verso le periferie fisiche e umane della società e dei giovani. L’anno del Bicentenario e il cammino successivo che avremo da percorrere deve essere per noi un tempo per apportare ciò che umilmente fa parte della nostra più viva essenza carismatica.
Questo Bicentenario deve pure essere, e lo sta essendo, la rievocazione di tante donne e uomini che in questo progetto appassionante hanno dato, in modo eroico, la propria vita per questo ideale, nelle condizioni più difficili ed estreme del mondo, e per cui sono un trionfo, un tesoro inestimabile che solo Dio può valutare.
Con questa convinzione che abbiamo, ci sentiamo più animati, non solo ad ammirare Don Bosco, non solo a percepire l’attualità della sua figura, ma a sentire fortemente l’irrinunciabile impegno della imitazione di colui che dalle colline dei Becchi arrivò alla periferia di Valdocco, e alla periferia rurale di Mornese, per coinvolgere con sé e con altre persone tutto quanto cercasse il bene della gioventù e la sua felicità in questo mondo e nell’eternità.
Non vorrei terminare il commento di questa Strenna nell’anno Bicentenario della nascita di Don Bosco, che ha il punto centrale nella sua prassi educativa e pastorale, senza fare un riferimento a colei che fu sua madre ed educatrice. E questo perché ignorare o tacere di sua madre, Mamma Margherita, è ignorare che tanti doni naturali che noi riconosciamo in Don Bosco hanno la loro origine, certamente sempre in Dio, ma con la mediazione umana che è stata la sua famiglia e in modo speciale sua madre. Da qui il perché di questa semplice riflessione.
Nel maggio del 1887 Don Bosco andò a Roma, e fu l’ultima volta, per la consacrazione della Chiesa del Sacro Cuore, monumento perenne del suo amore al Papa. Era ormai alla fine di una lunga vita operosa, che la costruzione di quel tempio aveva contribuito ad abbreviare. La domenica 8 maggio venne dato un ricevimento in suo onore con la partecipazione di personalità ecclesiastiche e civili, italiane e straniere. Alla fine del ricevimento molti invitati presero la parola in lingue diverse. Nacque allora in qualcuno la curiosità di sapere quale fosse la lingua che più piaceva a Don Bosco. Egli, sorridendo, rispose: «La lingua che più mi piace è quella che m’insegnò mia madre, perché mi costò poca fatica a esprimere le mie idee, e poi non la dimentico tanto facilmente come le altre lingue!».
Don Bosco ha riconosciuto sempre i grandi valori che aveva attinti nella sua famiglia: la sapienza contadina, la sana furbizia, il senso del lavoro, l’essenzialità delle cose, l’industriosità nel darsi da fare, l’ottimismo a tutta prova, la resistenza nei momenti di sfortuna, la capacità di ripresa dopo le batoste, l’allegria sempre e comunque, lo spirito di solidarietà, la fede viva, la verità e l’intensità degli affetti, il gusto per l’accoglienza e l’ospitalità; tutti beni che aveva trovato a casa sua e che lo avevano costruito in quel modo. Fu talmente segnato da questa esperienza che, quando pensò a un’istituzione educativa per i suoi ragazzi non volle altro nome che quello di “casa” e definì lo spirito che avrebbe dovuto improntarla con la definizione di “spirito di famiglia”. E per dare l’impronta giusta alla cosa, aveva chiesto a Mamma Margherita, ormai anziana e stanca, di lasciare la tranquillità della sua casetta in collina per scendere in città e prendersi cura di quei ragazzi raccolti dalla strada, quelli che le daranno non poche preoccupazioni e dispiaceri. Ma lei andò ad aiutare Don Bosco e a fare da mamma a chi non aveva più famiglia e affetti.
Fu proprio la presenza di Mamma Margherita a Valdocco durante l’ultimo decennio della sua vita ad influire non marginalmente su quello “spirito di famiglia” che tutti consideriamo come il cuore del carisma salesiano. Quello infatti non fu un decennio qualsiasi, ma il primo, quello in cui furono poste le basi di quel clima che passerà alla storia come il clima di Valdocco. Don Bosco aveva invitato la Mamma spinto da necessità pratiche. In realtà nei piani di Dio questa presenza era destinata a trascendere i limiti di una necessità contingente, per iscriversi nel quadro di una provvidenziale collaborazione ad un carisma ancora allo stato nascente. Mamma Margherita fu consapevole di questa sua “nuova vocazione”. L’accettò con umiltà e lucidità. Così si spiega il coraggio dimostrato nelle circostanze più dure. Si pensi solo all’epidemia del colera. Si pensi a gesti e parole che hanno un qualcosa di profetico, come l’utilizzare le tovaglie dell’altare per fare bende per gli ammalati. Valga, soprattutto, l’esempio della celebre “Buona Notte”, una nota originale della tradizione salesiana. Era un punto cui Don Bosco dava molta importanza e fu iniziato proprio dalla Mamma con un piccolo sermoncino rivolto al primo giovane ospitato. Don Bosco poi avrebbe continuato questa usanza non in chiesa a mo’ di predica, ma in cortile o nei corridoi, o sotto i porticati in modo paterno e familiare. La statura interiore di questa madre è tale che il figlio, anche quando sarà divenuto ormai esperto educatore, avrà sempre da imparare da lei. A voler compendiare quanto si è detto, valga il giudizio di don Lemoyne: «In lei poteva dirsi personificato l’Oratorio».
Questo rapporto tra madre e figlio matura fino alla condivisione di Mamma Margherita della missione educativa del figlio: «Mio caro figlio, tu puoi immaginare quanto costi al mio cuore l’abbandonare questa casa, tuo fratello e gli altri cari; ma se ti pare che tal cosa possa piacere al Signore io sono pronta a seguirti». Lascia la cara casetta dei Becchi, lo segue tra i giovani poveri e abbandonati di Torino. Qui per dieci anni (gli ultimi della sua vita) Margherita si dedica senza risparmio alla missione di Don Bosco e agli inizi della sua opera, esercitando una duplice maternità: maternità spirituale verso il figlio sacerdote e maternità educativa verso i ragazzi del primo oratorio, contribuendo a educare figli santi come Domenico Savio e Michele Rua. Illetterata, ma piena di quella sapienza che viene dall’alto, è l’aiuto di tanti poveri ragazzi della strada, figli di nessuno. In definitiva, la grazia di Dio e l’esercizio delle virtù hanno fatto di Margherita Occhiena una madre eroica, un’educatrice saggia e una buona consigliera del nascente carisma salesiano. È una persona semplice Mamma Margherita, eppure ella brilla nello straordinario numero di mamme sante che vivono alla presenza di Dio e in Dio, con una unione fatta di silenziose invocazioni pressoché continue. La “cosa più semplice” che Mamma Margherita continua a ripetere con l’esempio della sua vita è questa: che la santità è a portata di mano, è per tutti, e si attua nell’obbedienza fedele alla vocazione specifica che il Signore affida a ciascuno di noi.
Concludo tenendo molto presenti le parole del Papa, oggi già San Giovanni Paolo II, a conclusione della sua lettera già citata, nella quale ci invita a tenere sempre davanti a noi Maria Santissima, come le più insigne collaboratrice dello Spirito Santo. Il Papa ci invitava a guardare a Maria e ad ascoltarla quando dice: «Fate quello che Egli vi dirà», evocando il passo delle nozze di Cana (Gv 2,5).
In un bel frammento finale il Papa dice, rivolgendosi ai SDB di quel momento, ma in un contesto che è molto adeguato per tutta la nostra Famiglia oggi: «A Lei io affido voi e insieme con voi affido tutto il mondo dei giovani, affinché essi, da Lei attratti, animati e guidati, possano conseguire, con la mediazione della vostra opera educativa, la statura di uomini nuovi per un mondo nuovo: il mondo di Cristo, Maestro e Signore».
È tale la forza di questo desiderio e di queste parole che ci dirige l’allora Papa, che non credo si possa dire niente di più che “Amen!”, “Così sia”, contando sulla Grazia che ci viene dal Signore, l’intercessione dell’Ausiliatrice e il cuore del Buon Pastore di tutti membri della Famiglia Salesiana.
Che il Signore ci conceda la sua benedizione.
Roma, 8 dicembre 2014
Solennità dell’Immacolata Concezione di Maria
Don Ángel Fernández Artime, SDB
Rettor Maggiore
Fonte: sdb.org – Video presentazione Strenna 2015