03 ottobre 2014
Don Franco Lanzolla |
Una limousine lunga 12 metri per accompagnare il pargolo all’altare, splendido per la sua prima comunione. E poi, a celebrazione conclusa, i fuochi d’artificio per onorarlo. Non è un bimbo come tutti gli altri, non nel trattamento da boss. Ecco, appunto. Lui, che ha soli 10 anni, è il nipote di uno storico personaggio criminale di Bari vecchia, e qualche giorno fa sul sagrato della Cattedrale, la scena non poteva passare inosservata.
“La confessione, la prima comunione, non sono più considerati riti sacramentali, ma sociali. Proprio come è avvenuto domenica scorsa, con la limousine di 12 metri che lo aspettava fuori e i fuochi subito dopo “. A raccontarlo è don Franco Lanzolla, il parroco della Cattedrale, “il parroco di tutti”, come lo hanno definito. Fermo, come sempre, nel suo denunciare quello che proprio non va, quello che si potrebbe e dovrebbe ancora fare.
“Non serve lavorare sul penale sostiene – dobbiamo occupare i territori. Perché loro, le organizzazioni criminali, sono un microsistema culturale che offre ai più giovani un progetto educativo, molto più appetibile “. Si riferisce ai ragazzi di
Bari vecchia, che oltre la Comunione non si riesce proprio più a tenere vicino, se non nelle attività creative delle associazioni, quelle che vanno incentivate, con passione. “Ci vuole un po’ di pathos – osa – di eros sociale”.
Il fascino del sopruso, di chi beve birra e fuma spinelli, dei poteri forti che spadroneggiano, mentre la politica si assenta: “C’è bisogno di presidiare i luoghi del ceto povero, le piazze – invita – combattendo la malavita che ha occupato gli spazi antropologici, ha rubato un progetto educativo”. Don Franco che lascia lo spazio della chiesa, lui e i suoi catechisti che scendono nei vicoli: “Ormai noi abbiamo l’oratorio di strada, non più quello della parrocchia, siamo un gruppo di cittadini che fa squadra”.
Perché per colloquiare con chi ha bisogno di essere accompagnato, bisogna usare il suo stesso codice linguistico, entrare nel suo spazio, strappandolo alla mafia. “Sono convinto che non si risolve nulla nella repressione. Bisogna stare sul territorio, e tocca anche alle istituzioni farlo”. Al contrario, secondo don Franco, il presidio della politica sul territorio vive dei vuoti di governo, ad esempio d’estate, quando “la classe dirigente va a Rosa Marina e a Parchitello, mentre nei quartieri popolari resta solo il ceto popolare che non si può permettere di andare in vacanza”.
In quella direzione si muove l’antimafia sociale, che questa volta si appoggia sulla Chiesa e sulla scuola: “Una volta si parlava di prevenire, accompagnare, al quartiere Japigia si parlava di occupare il territorio. Lì dove i componenti dei clan vivono abusivamente in case popolari – denuncia don Franco – godendo di favori negati ad altri che ne avrebbero più diritto. Io mi chiedo: chi gliele dà, chi li autorizza? Non si può, a questo punto, non ipotizzare connivenze all’interno delle istituzioni, persone pagate per garantire ai malavitosi la prosecuzione di quei benefici, concessi loro in maniera illecita. I mafiosi hanno tutto, e per questo sono facili modelli per i giovani del ceto povero”, quelli ai quali è stato tolto anche lo spazio per il gioco, l’aggregazione, il presente prima che il futuro.
Fonte: Bari.repubblica.it 3 Ottobre 2014